Sunday 3 March 2019

Prima di entrare nel bosco



Stamattina è arrivato presto a svegliarmi, il mal di schiena.

Ieri notte ho fatto le ore piccole, ma alle nove ero già in piedi.

Ho ciondolato un po' in casa, nell'attesa di riuscire a fare almeno un minimo di colazione: l'idea di uscire, ma a piedi, non in moto, era presa, ma avevo bisogno di un po' di energia prima di avventurarmi nel bosco.

Sono salito in bus fino al campus universitario dove ho lavorato per un paio d'anni.

Sceso dal pulmann, ho indugiato un attimo su quegli edifici d'acciaio e vetro, quelle sculture astratte fatte di mattoni, esempio straordinario di come la curva si nasconda anche nelle combinazioni delle forme squadrate di tavolette, e su quei tavolini all'aperto ove, a volte, mi sono fermato ad aspettarti.

La biblioteca, la mensa di chimica e quella di fisica, l'aule dove tenevamo i corsi per gli studenti, ora deserte, nel vuoto di una domenica mattina, mi facevano sentire ormai estraneo ad un'ambiente che avevo sentito mio per tanto tempo.

Mentre cercavo di orientarmi, ho visto avvicinarsi alla fermata una ragazza in sedia a rotelle. Non capita raramente di trovare in questa città invalidi a passeggio da soli, ma questa volta mi sono stupito.

La ragazza, poco più di trent'anni credo, magrissima, aveva un braccio ingessato e una gamba immobilizzata, con il piede, nudo, che era tutto un'ematoma: violaceo e con un drenaggio ancora infilato nella carne, era il ritratto del dolore.

Avanzava a fatica, tutta storta, lavorando penosamente con il braccio sano sulle ruote della carrozzina.

Era straordinariamente bruttina e trascurata: aveva però quella trascuratezza che non sorprende minimamente chi ha avuto dimestichezza con l'osso di balena e la pelle screpolata e rovinata dalle piaghe.

L'ho vista avvicinarsi al tabellone dell'orario: ho tirato un sospiro di sollievo vedendo che, prima ancora che mi potessi avvicinare, si alzava in piedi da sola, e mi sono allontanato quindi in direzione del bosco, convinto che avrebbe preso l'autobus per scendere in città.

In qualche modo devo aver sbagliato strada, se poco dopo l'ho ritrovata, in mezzo al nulla, dove, facendo forza con la gamba sana, puntandola a terra prima di darsi una spinta a braccia, dando le spalle alla direzione in cui andava, saliva per un cavalcavia.

Questa volta mi sono affrettato ad avvicinarmi e le ho chiesto se avesse bisogno di qualcosa.

Ho riconosciuto subito l'orgoglio di quegli occhi, e già sapevo la risposta: con tutta la tranquillità del mondo, mi ha solo detto 'no', ed era quasi paziente.

Inventandomi una scusa, ad esempio fermandomi a guardare una Corvette Gialla sfrecciare sotto di noi, ho atteso che finisse la salita, e quindi le ho camminato un po' a fianco.

Era proprio bruttina: senza forme, capelli corti, occhialacci, pallida.

Non magra come me, e decisamente più forte, eppure anche sforzandosi con l'immaginazione, per nulla graziosa.
Tutta ossa sporgenti e tendini tirati sotto il ginocchio a scavare le carni, vestita un po' a casaccio ...

Eppure ne ero naturalmente, chiaramente attratto.
Ovviamente non fisicamente, ma la sua calma, il suo far apparire normale, ovvio un atteggiamento che era invece, perfino per me, folle, era stupefacente, straordinaria.

Beh, ho avuto con lei la timidezza che si ha di solito con le bellezze mozzafiato che fanno girare la testa.

Ho sperato che seguisse per un po' la mia stessa strada.
Le avrei voluto dire ...

Beh, che nel bosco forse avrei ritrovato la bellezza della natura, ma che solo il suo ricordo sarebbe rimasto per sempre nella mia memoria.

Il ricordo di una tenacia che è più rara della bellezza delle top model che girano in Bahnhofstrasse, e che non intontisce ma sorprende, e di una dignità che non si trova che in pochissime persone, e che bisogna considerarsi fortunati di riuscire a venerare.

E ho pensato che dopotutto, se non sono rimasto inorridito da quel drenaggio, da quel rivo di nero sangue rappreso, da quella carne gonfia e scura, dalla sua magrezza orribile, dal suo muoversi senza alcuna naturalezza, perfino dalla sua bruttezza ... beh, c'è solo un motivo.

A me sono servite l'esperienze più scontate e squallide per riuscire a vedere la perfezione in questo incontro, ma davvero non sono state vane.

E ho paragonato il mio sentimento a quello, di pena, dolcissima ma comunque pena, che avrebbe potuto provare un'altra persona di buon cuore oggi, su quel cavalcavia che ci ha visti vicini per un istante.

Ho pagato, e a volte mi pare addirittura che ne sia valsa la pena.
E in quella fragile donna, consunta dal dolore e sostenuta dalla dignità, ho visto una bellezza diversa e magnifica.

10 comments:

  1. La compassione è una cosa diversa dalla pena e nelle discipline orientali, per esempio, viene ritenuta una spelndida dote. Vuol dire riconoscere i propri limiti, quelli degli altri, ed accettarli. Addirittura, apprezzarli. Tu sei pieno di buoni sentimenti nascosti sotto quei 4 etti di ciccia :-P

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  2. La dignità, quella vera è una dote rara che rende l'animo di chi la possiede nobile che irradia bellezza allo stato puro.
    Quella che oggi chiamano bellezza è purtroppo arroganza che rende mostro anche chi rispetta perfettamente i canoni di bellezza da copertina.

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  3. C'è sempre un motivo nel nostro incontrare qualcuno.. anche solo per farci riflettere per unistante nel suo sguardo. Credo che questo significhi "incontrare un anima".... ed è bellissimo!
    Un abbraccio
    Joh

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  4. il vero valore delle persone viene compreso dal grado in cui la persona reagisce contro un destino atroce.
    giò hai una sensibilità incredibile....mi ha commosso.
    baci

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  5. Cara Maraptica, mi dai piu' che uno spunto :-)
    Grazie!

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  6. Come non essere d'accordo con te Marisa :_)

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  7. Cara Joh, domenica prossima spero di tornare lassu :-)

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  8. E' un arbitro severo la vita mia cara Chiara.

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  9. caro Gio, ti chiedo scusa perchè ho scritto il mio commento di fretta ed è venuto tutto pasticciato, spero che si capisca lo stesso quello che ho inteso dire. smack!

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  10. Penso di si mia cara :-)
    Quella fragile donna, così consunta dal dolore, era 'bella'.

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